sabato 18 luglio 2009

Knowware

Il termine non è nuovo, e da tempo aziende informatiche promettono di vendere il loro knowware su Web. In più, sull’opposizione hardware/software si sono create altre dicotomie, come firmware/staffware per contrapporre la struttura aziendale al personale che la fa funzionare, e termini come brainware (competenze presenti un un gruppo), knowware appunto (patrimonio di esperienze operative) o shareware, bannerware, crippleware, eccetera. Ma il termine può essere interpretato in modo nuovo, soprattutto per le scienze dell’informazione.

Illustrando il progetto giapponese della quinta generazione di calcolatori (sostanzialmente, calcolo parallelo con obiettivo l’intelligenza artificiale), Edward A. Feigenbaum scrisse che si entrava (1983) in un’era di «knowledge industry in which knowledge itself will be a salable commodity like food and oil», concludendo con una profezia che avrebbe virtualmente gettato le basi del knowledge management: «knowledge itself is to become the new wealth of nations».

Se ogni merce ha la sua forma, qual è la forma della conoscenza come merce? La risposta varia a seconda dei casi. Per esempio, nel caso delle industrie manifatturiere, questa forma è il brevetto; nel caso delle pubblicazioni, è il diritto d’autore; ma, nel caso del software, la risposta è più complessa, perché si dovrebbe separare la conoscenza contenuta nel software dal software stesso: a ciascuna delle due componenti si applicano diverse forme (e protezioni) della proprietà intellettuale. Ora, le basi di conoscenza sono contenute in ampi moduli software chiamati “sistemi”, ma non è facile separare l’una cosa dall’altra e usare, per esempio, una certa base di conoscenza in un sistema diverso da quello originario perché una base di conoscenza è sensibile al contesto e non costituisce una merce indipendente. Inoltre, una base di conoscenza è spesso incorporata in un determinato sistema gestionale, per cui il risultante intreccio di conoscenza e di codici software è ancor più difficile da separare.

Ruqian Lu, matematico dell’Accademia cinese delle scienze, ritiene di aver trovato la soluzione, ponendo le basi tecniche e normative di ciò che chiama “comprensione del linguaggio pseudo naturale” per la separazione abbastanza automatica dei processi di sviluppo di una shell relativamente stabile (per la gestione dei rapporti fra uomo e macchina) dai processi di sviluppo di una determinata base “mobile” di conoscenza. Le due parti, sostiene, possono essere sviluppate separatamente e indipendentemente l’una dall’altra, purché si seguano norme precise e invalicabili. Si creerebbe, così, una concentrazione della conoscenza - altrimenti distribuita o diluita in un software - entro un nucleo (core) modulare, indipendente e intercambiabile. Questo nucleo di conoscenza può ben, allora - sostiene l’autore - caratterizzarsi come merce identificabile e, soprattutto, indipendente dal contesto. È ciò che egli chiama, appunto, “knowware” tertium genus dopo hardware e software, suscettibile, così, di brevetto o di copyright autonomi.

L’opera è pubblicata in Italia da "Polimetrica", casa editrice diretta da Giandomenico Sica della Bicocca di Milano, che pubblica di conoscenze innovative. Il volume in questione, protetto da un’ampia licenza creative commons, è liberamente scaricabile in PDF da eprints.rclis.org/archive/00012119; è strutturato come FAQ cioè come risposte a domande (fittizie); ogni voce esibisce i termini contenuti nell’argomento; è corredato da un buon indice analitico.
  • Knowware the third star after hardware and software / Ruqian Lu. - Monza: Polimetrica, 2007. - ISBN 9788876990953, e-ISBN 978887699050, ISSN 19736061, e-ISSN 19736053
  • The fifth generation : artificial intelligence and Japan’s computer challenge to the world / Edward A. Feigenbaum, Pamela McCorduck. - Reading, Mass.: Addison-Wesley, c1983. - ISBN: 0201115190
[post-print da "Il bibliotecario", III serie, ISSN 11250992, 3/2008, p. 136-137]

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