E s’intenda grid e cloud, sottinteso computing, dove la prima è nota come architettura di calcolo distribuito per l’elaborazione di grandi quantità di dati mediante la condivisione coordinata di risorse all’interno di un’organizzazione virtuale, come la griglia di calcolo scientifico del CERN, per esempio, e che è fonte storica della seconda e nella quale i confini tra le risorse non sono più così dettagliati e i serventi non così più specializzati (basta una serie di PC domestici) per condividere, soprattutto, documenti e informazioni alla riduzione dei costi, alla semplificazione della gestione e al dono dei rischi al fornitore, che è fornitore non di prodotti ma di servizi («I prodotti stanno diventando servizi», scriveva Marshall McLuhan nel 1966) : tutto ciò che usiamo in rete compresa la banca sotto casa è ormai appollaiato su una qualche nuvola, da qualche parte... con una tale assenza di garanzie giuridiche da preoccupare chi teme numeri così grandi nelle mani di così pochi grandi affidatari di organizzazioni così complesse (che varranno 150 miliardi di dollari nel 2013) presso le quali depositare i nostri dati “sensibili” e dei quali non si è sempre certi di poter mantenere la proprietà esclusiva.
Poi è arrivato il 2.0 che ha pensato bene di espandere griglie e nuvole di macchine a una folla di persone: crowd computing, appunto, o crowd source, da rendere pletorico il concetto stesso di calcolatore come oggetto fisico (ma anche di mente individuale, almeno a credere a Cinecarta, «Il Bibliotecario» 3-4/2010) insieme con l’obsolescenza dei concetti e delle prassi di download e di upload perché tutto si tiene in un altrove sempre accessibile e quindi sempre disponibile.
Grazie a griglie e nuvole, aziende come InnoCentive, per dirne una, vendono servizi di analisi statistica ed economica, di progettazione industriale e di problem solving con investimenti “leggeri” in infrastrutture altrimenti impossibili senza il ricorso al calcolo distribuito. Ma non ci sono solo, in altri campi, Wikipedia o Facebook: c’è da poco anche Digitaltkoot della biblioteca nazionale finlandese per digitalizzare i suoi testi ripartendo tra gli utenti volontari la correzione dei caratteri non riconosciuti dallo scanner e che si presenta come un video-gioco a premi, per fuggire la noia della ripetitività, vincere qualcosa e sentirsi parte di una comunità utile alla cultura finlandese.
Poi è arrivato il 2.0 che ha pensato bene di espandere griglie e nuvole di macchine a una folla di persone: crowd computing, appunto, o crowd source, da rendere pletorico il concetto stesso di calcolatore come oggetto fisico (ma anche di mente individuale, almeno a credere a Cinecarta, «Il Bibliotecario» 3-4/2010) insieme con l’obsolescenza dei concetti e delle prassi di download e di upload perché tutto si tiene in un altrove sempre accessibile e quindi sempre disponibile.
Grazie a griglie e nuvole, aziende come InnoCentive, per dirne una, vendono servizi di analisi statistica ed economica, di progettazione industriale e di problem solving con investimenti “leggeri” in infrastrutture altrimenti impossibili senza il ricorso al calcolo distribuito. Ma non ci sono solo, in altri campi, Wikipedia o Facebook: c’è da poco anche Digitaltkoot della biblioteca nazionale finlandese per digitalizzare i suoi testi ripartendo tra gli utenti volontari la correzione dei caratteri non riconosciuti dallo scanner e che si presenta come un video-gioco a premi, per fuggire la noia della ripetitività, vincere qualcosa e sentirsi parte di una comunità utile alla cultura finlandese.
Quanto è grande questa griglia di nuvole in mano alla folla? Non poi molto, apparentemente: meno di un 1 seguito da cento zeri - il Numero di Googol - (ma la quantità approssimativa delle partite a scacchi possibili è potenza 120 di 10) e che è sempre, però, più grande della stima del numero delle particelle subatomiche nell'universo cosiddetto “conosciuto”, che, dicono, si aggira “solo” intorno alla potenza 70 di 10...
[pre-print per "Il bibliotecario", III serie, ISSN 11250992, 1-2/2011]
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