lunedì 7 marzo 2011

Hita-hita

Ovvero, in giapponese, qualcosa che penetra delicatamente e senza intoppi (gently and smoothly) come spiega un documento della Digital Repository Federation nipponica sulla politica di advocacy (patrocinio, appoggio, propugnazione...) dell’Open Access negli archivi istituzionali. È metodo contrario a quello, faticoso e di scarso risultato, cosiddetto “del bastone e della carota” generalmente in uso nel nostro mondo, attraverso il quale le università, gli enti di ricerca o i governi cercano di “costringere” i ricercatori a depositare gli esiti documentali della loro attività scientifica in archivi di libero accesso alla comunità internazionale, prospettando (carota) grande visibilità e alti fattori d’impatto oltre che (bastone) la consapevolezza che solo il materiale in essi archiviato verrà utilizzato per valutare la produttività scientifica individuale anche ai fini dell’ulteriore finanziamento delle ricerche.

Come tutto ciò che vuol adottare il metodo della dolcezza, queste penetrazioni richiedono una lunga e paziente preparazione di ammorbidimento e umidificazione psicologica della parte, attraverso azioni di informazione capillare gestite dai bibliotecari, conversazioni con i ricercatori, diffusione di materiale illustrativo, pubblicazione a passo a passo dei risultati, condivisione di problemi e appello alla discussione di idee per la loro soluzione. Una soluzione dai migliori esiti del knowledge management che, non a caso, è strategia industriale da Sol Levante...

Sono così oggi in Giappone 122 le istituzioni che detengono globalmente 760 mila articoli (una media di più di 6000 articoli a istituzione su un totale europeo di 250 archivi che valgono in tutto due milioni e mezzo di documenti, con una media di mille articoli a istituzione).


[pre-print per "Il bibliotecario", III serie, ISSN 11250992, 1-2/2011]

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