Di solito il termine riceve dai giornalisti più o meno professionisti una connotazione negativa («Fate informazione non informazionismo!») per contrastare l'ansia o l'orgasmo di informare in tempo reale - e spesso a pioggia e de-contestualizzando - tipica di certe espressioni del social Web. Oppure valgono le stigmate assegnategli (insieme con il cognitivismo) da Antonio Pavan:
«... l'informazionismo propiziato dalle nuove tecnologie della società dell'informazione (che tende a "ridurre" conoscenza a informazione, sapere a documentazione, elaborazione delle conoscenze a simulazione di casi, progettazione conoscitiva a virtualità); il cognitivismo (che può ridurre, nella società della conoscenza, il sapere al possesso più o meno "atomico" e comunque specialistico, di conoscenze - al plurale - a prescindere dalla loro "ruminazione", per dirla con l'Unesco, nel "sapere" della persona e della società)».
O da Alessio Bertallot:
«L’accessibilità all’oceano di informazioni di questi anni non produce cultura, ma accumulo, estensioni del database, informazionismo».
(Invece Pekka Himanen in L'etica hacker e lo spirito dell'età dell'informazione (Feltrinelli, 2001) parla, positivamente, di "informazionalismo" come nuova età del mondo e massima evoluzione dell'etica protestante: confusione linguistica del termine o approssimazione antropologica?). Per la citata Emilia Currás («…considerar el Informacionismo desde un aspecto panteísta, de connotaciones globalizadoras, tenida ésta en sentido positivo...») si tratta di una nuova epistemologia, capace dell'integrazione verticale di tutti gli archivi in nuova disciplina universale. Un nuovo nome per le geniali utopie di Otlet.
Emilia Currás, Informacionismo en la integración vertical de archivos, Exposición y Conferencias Internacional de Archivos (Excol '07), Bogotà, 23-27 Mayo, 2007
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