L'inter-operabilità, nel senso di "azione reciproca", serve per unificare l'interscambio e l'interazione di sistemi diversi anche non omogenei e, quindi, per cooperare e scambiare informazioni o servizi per il riutilizzo delle informazioni, ovviamente non solo nell'àmbito di biblioteche digitali. Questa sinergia vale, infatti, per tutto ciò che deve consentire il ricorso a un unico mezzo di trasmissione per oggetti diversi, come le reti ferroviarie, telefoniche, stradali, ma anche basi di dati, governo dei flussi di lavoro e lo stesso XML. Poiché l'inter-operabilità sta diventando un diritto sancito anche dall'Unione Europea, specialmente dopo la "Dichirazione di Valencia" (22-24 novembre 2006) «per uno sviluppo efficiente, sostenibile e solidale dell’eGovernment e per la costruzione di un Governo Intelligente Comune Europeo (ECIG)», vale chiedersi se, chissà, esistano delle regole oggettive e, magari, quasi meccaniche, che la consentano.
Secondo William Arms («MIT Press», gennaio 2000), devono verificarsi due condizioni perché di inter-operabilità si possa parlare: costruire servizi coerenti le cui componenti individuali sono differenti nella tecnologia usata e sono gestite da organizzazioni diverse. Christine Borgman (id., ibid.) esige, da parte sua, tre altre caratteristiche: far lavorare insieme i diversi sistemi in tempo reale, garantire la portabilità del software su diversi sistemi operativi, nonché consentire lo scambio dei dati tra sistemi differenti. Paul Miller («Ariadne», 24, 2000) aggiunge invece che l'inter-operabilità non sia tanto dei sistemi quanto delle organizzazioni, purché pongano particolare enfasi alla gestione dell’informazione, e ne elenca sei aspetti radicali: quello tecnico come le vie di trasporto e comunicazione o le norme di rappresentazione dei dati, quello semantico e le sue nominazioni, quello umano o politico per le scelte strategiche di accessibilità e controllo, quello dell’integrazione delle comunità disciplinari o istituzionali, quello legale per l’accesso tra legislazioni tra Paesi differenti e quello internazionale con i suoi problemi di linguaggio e di approcci differenti alla tecnologia e alle prassi di lavoro.
In pratica, si tratta sempre della compresenza "al minimo" di due tipi inter-operabilità: quella tecnica e quella concettuale, che vanno previsti all'inizio dell'intero processo architetturale di un sistema informativo. Tutta la casistica è stata così sintetizzata dal “DL.org Policy Working Group” in tre soli caposaldi, perché quello tecnico comprende tutto ciò che è software e sistemi e dati, quello semantico tutto ciò che riguarda il contenuto fino all’inter-operabilità sintattica dei dati bruti e quello organizzativo aggrega tutte le istanze umane e politiche insieme con gli aspetti inter-comunitarii, quelli legali nonché la gamma delle differenze culturali internazionali.
I sistemi aperti facilitano la standardizzazione, che di suo è strettamente connessa con l’inter-operabilità e con la necessità di poter procedere alla decompilazione del software (risalire dal codice "oggetto" a quello "sorgente") al fine di conseguire i medesimi risultati anche con prodotti differenti. È per realizzare questi obiettivi - affermano Herbert Kubicek e Ralf Cimander presentando nell’«European Journal of ePractice», 6, gennaio 2008, una ricerca iniziata nel maggio 2008 - che dovrebbe impegnarsi la politica dei governi per far muovere in questa direzione le istituzioni preposte ai grandi sistemi che garantiscono accesso alla letteratura scientifica, insieme e in collaborazione con gli utenti iniziali e finali:
Organisational interoperability occurs when actors agree on the why and the when of exchanging information, on common rules to ensure it occurs safely, with minimal overhead, on an ongoing basis, and then draw up plans to do all these things, and carry them out.
Su tutto il tema, Antonella De Robbio, Organisational Interoperability.
Da regole dell'ingegneria siamo, perciò approdati a regole della politica, ribadendo implicitamente che l’unico motore sicuro ed efficace sembrano essere, come sempre, le cosiddette "risorse umane", così che il tema si ampia e si sviluppa entro canali maggiori: il principio economico di poter lavorare insieme tra sistemi diversi in modo efficace e senza compromettere le caratteristiche distintive di ciascuno può infatti favorire, anche e ovviamente, la realizzazione dell'obiettivo dell'integrazione non omologativa fra culture diverse, al limite dell'intelligenza collettiva, del che sanno qualcosa, per esempio, governi e aziende del Canada e dell'Australia (ancora in lite fra loro, del resto, sull'impiego esclusivo e non generico del termine /aborigeno/), primi nel mondo nello sviluppo di quella branca della gestione della conoscenza detta "difference management": come far lavorare insieme, e bene, cattolici con ebrei e mussulmani, etero e omosessuali, astemii con alcoolisti, tabagisti e non-fumatori, carnivori con vegani e, naturalmente, aborigeni canadesi e australiani con l'homo oeconomicus Occidentale, nonché regole e princípi di catalogazione...
[pre-print per "Il bibliotecario", III serie, ISSN 11250992, 3-4/2010]
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