sabato 18 luglio 2009

2.0

Da quando il Web è diventato “la” piattaforma della comunicazione personale, scientifica, ludica, il sistema operativo principale sul quale agiscono applicazioni e programmi si è spostato (fuggito da tempo dai grandi calcolatori) dall’elaboratore personale per approdare alla Rete (Internet) ed è ormai netta e, forse, incontrovertibile - almeno fino a un’ipotetica apocalissi tecnologica - questa differenza fra il prima e il dopo. La moda del “2.0” è pervasiva: OPAC 2.0, biblioteche 2.0, bibliotecari 2.0, documentalisti 2.0, commercio 2.0, governanti 2.0... fino al prossimo traguardo del 3.0 (si veda la rassegna categorizzante di Jonas Bolinder su impl.emented.com del 20 aprile 2008) e così via.

Le attività di ricerca e di compilazione bibliografica, di organizzazione dei servizi delle biblioteche, di elaborazione e diffusione di conoscenza, di scavo documentario e di rielaborazione e presentazione dei suoi risultati, fino alle attività archivistiche, fino alle attività giornalistiche, stanno velocemente approdando a una concezione nuova dell’autorità, meno individuabile perché più partecipativa, meno identificabile perché più collettiva. Già la trasduzione del documento scritto dal formato analogico a quello elettronico aveva fatto crollare il concetto stesso di certezza (e di unitarietà e di unicità) del documento, fino a una recente teorizzazione, avanzata da giuristi della Corte Suprema degli Stati Uniti, della maggiore o minore probabilità dell’autenticità di un documento elettronico prodotto, e accettato, in sede giudiziaria.

Se l’incertezza documentaria e autoriale assumono una connotazione relativa per il documento nato in formato analogico e solo successivamente trasportato nel nuovo formato, essa diviene assoluta per i documenti direttamente creati con il nuovo sistema. Nel medesimo modo si rivoltano su se stesse le “certezze” dell’indicizzazione semantica. L’elemento distintivo eccede e travalica quella stessa multimedialità che inerisce al documento elettronico: si tratta, piuttosto, dell’esito dell’adozione di un’architettura della partecipazione nella creazione originaria del documento come aggregato visibile del pensiero di una serie non contabile di autori, che opera riusando, mescolando, miscelando contenuti ibridi in una poltiglia (mashup) dinamica di dati, informazioni, contenuti provenienti da una pluralità di fonti.

Né l’operazione è di tale complessità da essere riservata ai chierici autistici in (virtuale) càmice bianco ma è accessibile a chiunque non nutra eccessivi timori reverenziali per mouse e tastiera: tutto il mondo delle scienze dell’informazione deve essere, allora e al più presto, ridefinito.

[post-print da "Il bibliotecario", III serie, ISSN 11250992, 3/2008, p. 135-136]

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