Questo strumento per i “club degli amici della biblioteca” allargati, serve alle biblioteche per sviluppare la propria interazione sociale con l’utenza, considerata come un’unica comunità (di prassi) insieme con i bibliotecari e la biblioteca stessa, secondo i tipi di comunicazione uno-a-uno (posta elettronica, messaggeria istantanea), uno-a-molti (blog) e molti-a-molti (Wiki).
Diversamente dal modello “top-down”, nel quale i ruoli degli utenti nei confronti della biblioteca sono rigidamente determinati da un’autorità loro esterna e limitati da meccanismi software predeterminati, il software sociale ricorre al modello “bottom-up” per l’organizzazione della comunicazione, per cui obiettivi e organizzazione dei contenuti sono stabiliti dagli stessi membri della comunità, alla pari con bibliotecari e altri utenti. Non è solo questione di tecnologia o di tecnica sociale, ma anche di ideologia: ci si contrappone alla “chiusura” della produzione della conoscenza e dello sviluppo di interazioni, per abbracciare i concetti di intelligenza sociale e di contenuto “aperto”. In fondo, il vero potere di Internet risiede sulla capacità della Rete di sviluppare la comunicazione (l’informazione sarebbe solo un pretesto?).
Da non molto le biblioteche hanno scoperto questa risorsa e le iniziative di applicazione alle loro realtà si moltiplicano. Due casi recenti, tra i tanti in letteratura, sono meritevoli di segnalazione per il loro carattere sistematico, interpretativo e sperimentale del fenomeno, per aiutare il viaggio del bibliotecario che intende affrontare questo percorso.
Al tema è dedicato l’ultimo fascicolo (v. 7, n. 6) di «El profesional de la información», (che nessuna biblioteca italiana sembra possedere nonostante la rivista sia nata, pur con altro nome, nel 1992 e sia da tempo presente nei maggiori repertori citazionali) del quale sono accessibili in rete indice e sommari e qualche articolo depositato su E-LIS o altrove. L’editoriale di Juan Freire affronta le reti sociali come modello organizzativo e riflette sul significato delle interazioni sociali nel mondo digitale e nei servizi di networking: questi ultimi rappresenterebbero una semplificazione e al medesimo tempo una restrizione della varietà delle interazioni sociali, per cui la combinazione dei vari strumenti del Web 2.0 sarebbero più interessanti del modello chiuso di Facebook. Di avviso contrario è Didac Margaix-Arnal, che illustra con abbondanza di esempi l’uso di Facebook nelle biblioteche universitarie. Fernanda Peset, Antonia Ferrer-Sapena e Tomas Biaget invece riflettono sull’impatto che le reti sociali hanno sulla comunità dei bibliotecari e dei documentalisti e, anzi, sul ruolo attivo dei bibliotecari proprio per la socializzazione e l'ampliamento della Rete.
Vi si dedica anche, con giovanile passione e intenso attivismo, Meredith G. Farkas (nel 2006 insignita da «Library Journal» del premio Mover & Shaker in quanto persona «highly respected, key figure in her particular area with a lot of influence and importance» che ha beneficato la professione con l’uso innovativo della tecnologia), autrice di un fortunato volume dal titolo Social software in libraries. Oggi è bibliotecaria della formazione a distanza alla Norwich University e tiene regolarmente la rubrica Technology in practice per «American Libraries». Nell’ambiente è conosciuta per diverse iniziative Web come i blog Information wants to be free (che realizza la parola d’ordine enunciata da Stewart Brand al primo congresso degli hacker nel 1984) e, con Roy Tennant e altri, TechEssence («the essence of information technology for library decision-makers»), nonché la frequentata pagina Library success: a best practices Wiki. Ma, soprattutto, è impegnata in www.sociallibraries.com, che ci fa tornare al volume di cui sopra, perché il sito è simbionte al libro e luogo di sperimentazione analitica di tutti gli strumenti citati nell’opera a stampa e di quelli successivi, luogo di complemento, sviluppo, presentazione e sperimentazione degli strumenti e delle tecniche che possono accrescere il valore e l'utilità delle biblioteche, compreso Five weeks to a social library, corso gratuito online per insegnare ai bibliotecari l'uso del social software per le loro biblioteche.
Diversamente dal modello “top-down”, nel quale i ruoli degli utenti nei confronti della biblioteca sono rigidamente determinati da un’autorità loro esterna e limitati da meccanismi software predeterminati, il software sociale ricorre al modello “bottom-up” per l’organizzazione della comunicazione, per cui obiettivi e organizzazione dei contenuti sono stabiliti dagli stessi membri della comunità, alla pari con bibliotecari e altri utenti. Non è solo questione di tecnologia o di tecnica sociale, ma anche di ideologia: ci si contrappone alla “chiusura” della produzione della conoscenza e dello sviluppo di interazioni, per abbracciare i concetti di intelligenza sociale e di contenuto “aperto”. In fondo, il vero potere di Internet risiede sulla capacità della Rete di sviluppare la comunicazione (l’informazione sarebbe solo un pretesto?).
Da non molto le biblioteche hanno scoperto questa risorsa e le iniziative di applicazione alle loro realtà si moltiplicano. Due casi recenti, tra i tanti in letteratura, sono meritevoli di segnalazione per il loro carattere sistematico, interpretativo e sperimentale del fenomeno, per aiutare il viaggio del bibliotecario che intende affrontare questo percorso.
Al tema è dedicato l’ultimo fascicolo (v. 7, n. 6) di «El profesional de la información», (che nessuna biblioteca italiana sembra possedere nonostante la rivista sia nata, pur con altro nome, nel 1992 e sia da tempo presente nei maggiori repertori citazionali) del quale sono accessibili in rete indice e sommari e qualche articolo depositato su E-LIS o altrove. L’editoriale di Juan Freire affronta le reti sociali come modello organizzativo e riflette sul significato delle interazioni sociali nel mondo digitale e nei servizi di networking: questi ultimi rappresenterebbero una semplificazione e al medesimo tempo una restrizione della varietà delle interazioni sociali, per cui la combinazione dei vari strumenti del Web 2.0 sarebbero più interessanti del modello chiuso di Facebook. Di avviso contrario è Didac Margaix-Arnal, che illustra con abbondanza di esempi l’uso di Facebook nelle biblioteche universitarie. Fernanda Peset, Antonia Ferrer-Sapena e Tomas Biaget invece riflettono sull’impatto che le reti sociali hanno sulla comunità dei bibliotecari e dei documentalisti e, anzi, sul ruolo attivo dei bibliotecari proprio per la socializzazione e l'ampliamento della Rete.
Vi si dedica anche, con giovanile passione e intenso attivismo, Meredith G. Farkas (nel 2006 insignita da «Library Journal» del premio Mover & Shaker in quanto persona «highly respected, key figure in her particular area with a lot of influence and importance» che ha beneficato la professione con l’uso innovativo della tecnologia), autrice di un fortunato volume dal titolo Social software in libraries. Oggi è bibliotecaria della formazione a distanza alla Norwich University e tiene regolarmente la rubrica Technology in practice per «American Libraries». Nell’ambiente è conosciuta per diverse iniziative Web come i blog Information wants to be free (che realizza la parola d’ordine enunciata da Stewart Brand al primo congresso degli hacker nel 1984) e, con Roy Tennant e altri, TechEssence («the essence of information technology for library decision-makers»), nonché la frequentata pagina Library success: a best practices Wiki. Ma, soprattutto, è impegnata in www.sociallibraries.com, che ci fa tornare al volume di cui sopra, perché il sito è simbionte al libro e luogo di sperimentazione analitica di tutti gli strumenti citati nell’opera a stampa e di quelli successivi, luogo di complemento, sviluppo, presentazione e sperimentazione degli strumenti e delle tecniche che possono accrescere il valore e l'utilità delle biblioteche, compreso Five weeks to a social library, corso gratuito online per insegnare ai bibliotecari l'uso del social software per le loro biblioteche.
- Meredith G. Farkas. Social software in libraries. Building collaboration, communication, and community online. Medford: Information Today. 2007.
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