La semplificazione dell’Archivistica nel generico Records management (che per noi vale solo per gli archivi correnti) ha fatto sì che, oltre al tradizionale sistema d’archivio vero e proprio, rientrassero nelle competenze della disciplina e dei suoi professionisti anche documenti e attività tipicamente gestionali, come il governo dei contenuti e del ritrovamento, nonché il complesso dell’apparato burocratico e tecnologico insieme con le risorse, le strutture, le attrezzature e, soprattutto, le responsabilità gerarchiche, che un intero sistema documentario mantengono e sviluppano.
Trasdurre in digitale interi archivi storici richiede, in più, cautele tradizionalmente ignorate dagli ingegneri del calcolatore, che volentieri confondono i dati con le informazioni - non diversamente da quanto accadde ai primi cataloghi elettronici delle biblioteche. Qual è la natura del documento? E quale quella del documento elettronico? E di quello archivistico? E come la mettiamo con la conservatività e con la leggibilità di questi documenti per le prossime centinaia di anni ai fini non solo della Storia ma anche della certezza giuridica? E le condizioni del riuso e dell’interoperabilità? Domande non poste o, al più, mal risposte.
ll problema si aggrava quando i documenti e gli archivi sono multi-mediali o interattivi, o ”semplici” pagine web composte da oggetti digitali diversi e di formato eterogeneo. Questi documenti e questi archivi non sono più un complesso unitario ed esclusivo, auto-referenziale, come il documento cartaceo, ma devono essere collegati ad altri documenti e ad altri archivi per restituire una rappresentazione adeguata della conoscenza: i documenti e, insieme, i processi che li hanno costituiti.
Si esce, poi, dalla problematicità della pura applicazione tecnologica per approdare a quella della gestione organizzativa quando l’archivio è creato, sì, in formato elettronico ab origine ma già con la giusta preoccupazione della sua destinazione archivistica, tenendo conto della destinazione strumentale, non finale, dell’archivio; anzi, del sistema degli archivi. Risultati ottenibili quando il responsabile del procedimento possiede una formazione archivistica e quando l’archivista possiede una formazione gestionale.
Era già così nelle procedure garanti il documento analogico; ora la cautela va moltiplicata e i mutati strumenti vanno ri-appresi
Come la filosofia, anche il linguaggio segue la tecnologia. Abbiamo così cómpiti che prospettano, per il nuovo archivista, nuove denominazioni professionali come knowledge worker (nel caso, protocollista) o knowledge manager (nel caso, responsabile del flusso di lavoro documentale) che aggiungono al profilo professionale competenze connesse, quanto meno, con l’IR e la diplomatica digitale. In più, le rinnovate complessità e sfaccettatura semantica, oltre a quella operativa, di questo profilo, generano innovazioni lessicali che non sempre fanno facilmente comprendere che abbiamo di fronte un “archivista digitale”: da digital asset manager o digital preservation officer a preservation consultant o anche information management consultant, fino al progetto europeo di master, già attivo almeno a Luleå e a Glasgow (senza dimenticare il Digital Curation Centre, finanziato dal solito JISC), per il nuovo profilo professionale di digital curator : addirittura, il riferimento all’archivio e all’archivistica non compare nel nome ma di archivi e di archivisti comunque si tratta.
Le competenze dell’ingegnere del calcolatore si arricchiscono così, e questa volta per davvero, di competenze tipiche dell’esperto dell’informazione: è la realizzazione del sogno dell’ing. Philippe Dreyfus, ma non sul lato del cosiddetto e ambiguo “informatico”, termine di sua invenzione, bensì su quello del cosiddetto - e altrettanto ambiguo - “documentalista” (archivista, bibliotecario, ecc.).
Secondo l’articolo Digital archivists, now on demand di Conrad De Aenlle del 7 febbraio 2009 su diversi quotidiani americani, la richiesta di questi professionisti da parte del mercato del lavoro sia pubblico sia privato è, almeno negli Stati Uniti e specialmente dopo il caso Enron, in forte crescita ed è previsto che nei prossimi dieci anni essa venga triplicata, a partire dalle attuali 20 mila unità: si suppone che questi professionisti dovranno soprattutto scrivere le routine per la produzione di documenti archive compliant a certezza del diritto e della conservazione a lungo termine - anche lo stipendio medio per un lavoro che diventa sempre più “chiave” è in crescita: si va da 70 mila dollari/anno nel pubblico a 100 mila nel privato.
Trasdurre in digitale interi archivi storici richiede, in più, cautele tradizionalmente ignorate dagli ingegneri del calcolatore, che volentieri confondono i dati con le informazioni - non diversamente da quanto accadde ai primi cataloghi elettronici delle biblioteche. Qual è la natura del documento? E quale quella del documento elettronico? E di quello archivistico? E come la mettiamo con la conservatività e con la leggibilità di questi documenti per le prossime centinaia di anni ai fini non solo della Storia ma anche della certezza giuridica? E le condizioni del riuso e dell’interoperabilità? Domande non poste o, al più, mal risposte.
ll problema si aggrava quando i documenti e gli archivi sono multi-mediali o interattivi, o ”semplici” pagine web composte da oggetti digitali diversi e di formato eterogeneo. Questi documenti e questi archivi non sono più un complesso unitario ed esclusivo, auto-referenziale, come il documento cartaceo, ma devono essere collegati ad altri documenti e ad altri archivi per restituire una rappresentazione adeguata della conoscenza: i documenti e, insieme, i processi che li hanno costituiti.
Si esce, poi, dalla problematicità della pura applicazione tecnologica per approdare a quella della gestione organizzativa quando l’archivio è creato, sì, in formato elettronico ab origine ma già con la giusta preoccupazione della sua destinazione archivistica, tenendo conto della destinazione strumentale, non finale, dell’archivio; anzi, del sistema degli archivi. Risultati ottenibili quando il responsabile del procedimento possiede una formazione archivistica e quando l’archivista possiede una formazione gestionale.
Era già così nelle procedure garanti il documento analogico; ora la cautela va moltiplicata e i mutati strumenti vanno ri-appresi
Come la filosofia, anche il linguaggio segue la tecnologia. Abbiamo così cómpiti che prospettano, per il nuovo archivista, nuove denominazioni professionali come knowledge worker (nel caso, protocollista) o knowledge manager (nel caso, responsabile del flusso di lavoro documentale) che aggiungono al profilo professionale competenze connesse, quanto meno, con l’IR e la diplomatica digitale. In più, le rinnovate complessità e sfaccettatura semantica, oltre a quella operativa, di questo profilo, generano innovazioni lessicali che non sempre fanno facilmente comprendere che abbiamo di fronte un “archivista digitale”: da digital asset manager o digital preservation officer a preservation consultant o anche information management consultant, fino al progetto europeo di master, già attivo almeno a Luleå e a Glasgow (senza dimenticare il Digital Curation Centre, finanziato dal solito JISC), per il nuovo profilo professionale di digital curator : addirittura, il riferimento all’archivio e all’archivistica non compare nel nome ma di archivi e di archivisti comunque si tratta.
Le competenze dell’ingegnere del calcolatore si arricchiscono così, e questa volta per davvero, di competenze tipiche dell’esperto dell’informazione: è la realizzazione del sogno dell’ing. Philippe Dreyfus, ma non sul lato del cosiddetto e ambiguo “informatico”, termine di sua invenzione, bensì su quello del cosiddetto - e altrettanto ambiguo - “documentalista” (archivista, bibliotecario, ecc.).
Secondo l’articolo Digital archivists, now on demand di Conrad De Aenlle del 7 febbraio 2009 su diversi quotidiani americani, la richiesta di questi professionisti da parte del mercato del lavoro sia pubblico sia privato è, almeno negli Stati Uniti e specialmente dopo il caso Enron, in forte crescita ed è previsto che nei prossimi dieci anni essa venga triplicata, a partire dalle attuali 20 mila unità: si suppone che questi professionisti dovranno soprattutto scrivere le routine per la produzione di documenti archive compliant a certezza del diritto e della conservazione a lungo termine - anche lo stipendio medio per un lavoro che diventa sempre più “chiave” è in crescita: si va da 70 mila dollari/anno nel pubblico a 100 mila nel privato.
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