Navigatori, lettori, utenti, archivisti, bibliotecari, documentalisti possono esser visti tutti insieme come una comunità di prassi, cioè come un gruppo più o meno auto-organizzato che scambia documenti, informazione e conoscenza per portare a compimento un processo comune e condiviso.
Ma ci sono delle differenze fra una comunità di prassi che organizza soprattutto documenti e una che organizza soprattutto conoscenza, anche se la massima parte dell’organizzazione della conoscenza avviene attraverso il trattamento di documenti. La comunità “della conoscenza” (di solito, aziendale) organizza il flusso documentale con intenzioni diverse rispetto a quel che fa la comunità “dei documenti” (di solito, bibliotecaria) e, in più, con un’enfasi differente riguardo ai progetti di trattamento dei documenti: se quest’ultima è più orientata al contenuto dei documenti stessi, l’altra lo è maggiormente all’utente (e alle sue aspettative esistenziali) - detto in altro modo, per l’una (quella che abbiamo chiamato bibliotecaria) il documento costituisce soprattutto un fine mentre per l’altra (quella che abbiamo chiamato aziendale) è soprattutto un mezzo, uno strumento.
La comunità di prassi che è più orientata all’utente considererà il documento più per le aspettative e i rischi attesi che da questo possono derivare sia per il processo in corso che la vede coinvolta sia per gli stessi membri della comunità, che non per l’oggettualità del documento. Il documento costituisce uno degli elementi (conoscitivi) di un progetto nel quale la comunità è impegnata e, al mutare dei fini del progetto (o all’evolversi del progetto stesso), ogni documento preso in considerazione può esser indicizzato in modi del tutto differenti e anche contraddittori tra loro. Lo scopo attribuibile al documento prevale sulla sua struttura e sulla sua storia.
Questa distinzione corrisponde, in metafora, al doppio significato dell’avverbio “perché”, che in italiano può avere indifferentemente valore causale (e qui sarebbe forse meglio dire “poiché”) o valore finale: mentre alla comunità di prassi più vicina all’ontologia “bibliotecaria” interessa il “poiché” del documento (quale ne è la storia, quali sono le cause che l’hanno prodotto e come la sua storia lo situa nel presente), alla comunità di prassi più vicina all’ontologia “aziendale” interessa maggiormente il suo “perché” finale, il suo posizionamento nel futuro, come se essa si chiedesse: «a che cosa serve, dove tende e dove mi porta questo documento?» invece di «che cos’è e da dove viene questo documento?». Così, questa comunità di prassi “aziendale” crea liberamente il proprio orizzonte cognitivo attribuendo significati nuovi alla realtà non solo documentale, governando la creazione del caos che genera l’ordine (perché l’ordine è per sua natura sterile e ripete eternamente se stesso: per innovare ci vuole il caos - la gestione intenzionale del documento).
Ma anche il sostantivo “caos” possiede due significati. Il più moderno (di ascendenza stoica) ne assimila il concetto a quello di “disordine” mentre quello più antico (di ascendenza esiodea) lo avvicina all’immagine di “abisso”, di gola aperta, di cavità vuota e oscura fonte di vita (in sostanza, un utero) e di conoscenza: la fonte femminile dell’azione (bello spunto per ulteriori indagini...). La comunità “bibliotecaria-stoica” sarebbe virile e “cubica” e vedrebbe il caos come un limite all’ordine, mentre quella “aziendale-esiodea” sarebbe femminile e “sferica” nell’ispirazione e nel comportamento e vedrebbe il caos come stimolo per un riordino del mondo. Da Dioniso ad Apollo.
Al di là di intellettualismi come questo, la gestione strutturale del documento tenderebbe, quindi, a posizionarlo entro le coordinate cartesiane che gli appartengono per la sua storia, in una visione chiara e distinta del mondo e della cultura che l’ha determinato. Sono la ricchezza e la bellezza della bibliografia. La gestione intenzionale del documento non possiede, invece, visioni né chiare né distinte del mondo, perché il mondo nel e sul quale opera è un progetto in divenire, che nasce in occasione della discussione, della lite, della contrattazione (perfino sindacale), della mediazione e del compromesso, dell’esperimento, del feedback emotivo, della contrapposizione dei sentimenti. Nulla di tutto ciò è esprimibile adeguatamente con una conoscenza esplicita (come, invece, in una scheda di bibliografia o di catalogo).
La rivoluzione di Internet ha mescolato maggiormente le carte, per cui in una medesima realtà sono compresenti entrambe le filosofie: unità del documento e sua dissoluzione, rigore indicale e folksonomy, conservazione e accesso aperto, tracciamento della storia e pulsione verso il futuro. In una sola coppia: biblioteconomia e documentazione. L’archivistica (digitale) starebbe nel mezzo. Dove sta la bibliografia web?
[post-print da "Il bibliotecario", III serie, ISSN 11250992, 1/2009, p. 117-118]
Ma ci sono delle differenze fra una comunità di prassi che organizza soprattutto documenti e una che organizza soprattutto conoscenza, anche se la massima parte dell’organizzazione della conoscenza avviene attraverso il trattamento di documenti. La comunità “della conoscenza” (di solito, aziendale) organizza il flusso documentale con intenzioni diverse rispetto a quel che fa la comunità “dei documenti” (di solito, bibliotecaria) e, in più, con un’enfasi differente riguardo ai progetti di trattamento dei documenti: se quest’ultima è più orientata al contenuto dei documenti stessi, l’altra lo è maggiormente all’utente (e alle sue aspettative esistenziali) - detto in altro modo, per l’una (quella che abbiamo chiamato bibliotecaria) il documento costituisce soprattutto un fine mentre per l’altra (quella che abbiamo chiamato aziendale) è soprattutto un mezzo, uno strumento.
La comunità di prassi che è più orientata all’utente considererà il documento più per le aspettative e i rischi attesi che da questo possono derivare sia per il processo in corso che la vede coinvolta sia per gli stessi membri della comunità, che non per l’oggettualità del documento. Il documento costituisce uno degli elementi (conoscitivi) di un progetto nel quale la comunità è impegnata e, al mutare dei fini del progetto (o all’evolversi del progetto stesso), ogni documento preso in considerazione può esser indicizzato in modi del tutto differenti e anche contraddittori tra loro. Lo scopo attribuibile al documento prevale sulla sua struttura e sulla sua storia.
Questa distinzione corrisponde, in metafora, al doppio significato dell’avverbio “perché”, che in italiano può avere indifferentemente valore causale (e qui sarebbe forse meglio dire “poiché”) o valore finale: mentre alla comunità di prassi più vicina all’ontologia “bibliotecaria” interessa il “poiché” del documento (quale ne è la storia, quali sono le cause che l’hanno prodotto e come la sua storia lo situa nel presente), alla comunità di prassi più vicina all’ontologia “aziendale” interessa maggiormente il suo “perché” finale, il suo posizionamento nel futuro, come se essa si chiedesse: «a che cosa serve, dove tende e dove mi porta questo documento?» invece di «che cos’è e da dove viene questo documento?». Così, questa comunità di prassi “aziendale” crea liberamente il proprio orizzonte cognitivo attribuendo significati nuovi alla realtà non solo documentale, governando la creazione del caos che genera l’ordine (perché l’ordine è per sua natura sterile e ripete eternamente se stesso: per innovare ci vuole il caos - la gestione intenzionale del documento).
Ma anche il sostantivo “caos” possiede due significati. Il più moderno (di ascendenza stoica) ne assimila il concetto a quello di “disordine” mentre quello più antico (di ascendenza esiodea) lo avvicina all’immagine di “abisso”, di gola aperta, di cavità vuota e oscura fonte di vita (in sostanza, un utero) e di conoscenza: la fonte femminile dell’azione (bello spunto per ulteriori indagini...). La comunità “bibliotecaria-stoica” sarebbe virile e “cubica” e vedrebbe il caos come un limite all’ordine, mentre quella “aziendale-esiodea” sarebbe femminile e “sferica” nell’ispirazione e nel comportamento e vedrebbe il caos come stimolo per un riordino del mondo. Da Dioniso ad Apollo.
Al di là di intellettualismi come questo, la gestione strutturale del documento tenderebbe, quindi, a posizionarlo entro le coordinate cartesiane che gli appartengono per la sua storia, in una visione chiara e distinta del mondo e della cultura che l’ha determinato. Sono la ricchezza e la bellezza della bibliografia. La gestione intenzionale del documento non possiede, invece, visioni né chiare né distinte del mondo, perché il mondo nel e sul quale opera è un progetto in divenire, che nasce in occasione della discussione, della lite, della contrattazione (perfino sindacale), della mediazione e del compromesso, dell’esperimento, del feedback emotivo, della contrapposizione dei sentimenti. Nulla di tutto ciò è esprimibile adeguatamente con una conoscenza esplicita (come, invece, in una scheda di bibliografia o di catalogo).
La rivoluzione di Internet ha mescolato maggiormente le carte, per cui in una medesima realtà sono compresenti entrambe le filosofie: unità del documento e sua dissoluzione, rigore indicale e folksonomy, conservazione e accesso aperto, tracciamento della storia e pulsione verso il futuro. In una sola coppia: biblioteconomia e documentazione. L’archivistica (digitale) starebbe nel mezzo. Dove sta la bibliografia web?
[post-print da "Il bibliotecario", III serie, ISSN 11250992, 1/2009, p. 117-118]
Nessun commento:
Posta un commento