Sottintendendone il genitivo "information", ma si può anche dire single sourcing o, nel campo dell'informazione e al di fuori delle strategie degli uffici acquisti che si servono di un solo fornitore, single source publishing o, ancora, modular writing.
Già la psicologia cognitiva ci aveva dimesticato con la nozione di chunking, l'acquisizione di quell'unità discreta d'informazione (chunk, appunto, cioè una "quantità", un "blocco", un "tot") che ci è divenuta tanto familiare da poter entrare quasi senza sforzo nella nostra memoria a breve o a lungo termine come, per esempio, il fischiettare il tormentone musicale dell'estate (a breve termine) o la capacità di guidare una bicicletta (a lungo termine).
Se n'era occupato niente di meno che William James nel 1890 teorizzando i due tipi di memoria, ma è stato solo negli anni Cinquanta che George Miller è riuscito a misurare la quantità d'informazione che la memoria a breve è in grado di ritenere.
Più tardi il concetto di chunk si è ampliato a significare, più genericamente, un «insieme strutturato di informazioni immagazzinate nel momento in cui la conoscenza viene acquisita» (Clayton Lewis, 1978) intendendo spiegare il meccanismo con il quale, appreso il chunk relativo a un comportamento, ogni risposta a sollecitazioni analoghe accade in tempi sempre più brevi. Con il procedere dell'acquisizione di conoscenza, i chunk si fanno via via più complessi, passando da conoscenze solo dichiarative («so che si fa così») a conoscenze procedurali («so farlo»).
Ora, è proprio il chunking a essere alla base della mappatura dell'informazione, cioè di quell'attività che consiste nello sminuzzare ed etichettare l'informazione per facilitarne la comprensione, l'uso e il richiamo.
Il metodo, messo a punto alla fine degli anni Ottanta da Robert E. Horn, docente di Scienze politiche e creatore di Information Mapping Inc. e che ha identificato più di duecento chunk, dai quali derivano diversi tipi di information mapping (come Procedure, Process, Principle, Concept, Fact, e Structure), è ormai quasi universalmente impiegata nella strutturazione di testi (structured writing) destinati alla comunicazione tecnica: esattamente il mestiere del "documentalista" nell'accezione americana, che s'ingegna nello sfruttare un singolo documento come fonte per una molteplicità di esiti più complessi, come manuali d'uso o help in linea.
Perché riscrivere il medesimo testo per destinazioni e formati differenti o, altrimenti detto: come riusare l'informazione disponibile? Cioè: come trasformare un'informazione lineare in una modulare in modo che possa essere assemblata e ri-assemblata? E, soprattutto, lo si può fare in automatico? (Da tempo ci si provano desktop publisher come Adobe FrameMaker o Apache Forrest o Altova StyleVision).
Ma il mestiere di questo tipo di documentalista è applicabile ad altre attività, come quelle che vedono il moderno webmaster impegnato a definire la granularità dell'unità minima d'informazione necessaria in un àmbito determinato, come un singolo testo (ma anche una registrazione audio-visiva) che veicola una singola idea (fino, al limite, a una sola idea per ogni pagina web) da distribuire entro l'architettura più efficace di un sito. Oppure, tutto ciò che abbiamo detto alla voce Catene cognitive nel precedente numero del «Bibliotecario».
La cosa va anche oltre il webmastering e può toccare la progettazione e l'ottimizzazione dei flussi documentali a fini di knowledge management. Per esempio, era applicazione di single sourcing in un contesto non usuale l'abbandonato progetto "Chiaro!" del dipartimento della Funzione Pubblica per la semplificazione del linguaggio amministrativo: moduli composti in anti-burocratese da poter assemblare per le più diverse necessità procedimentali.
Già la psicologia cognitiva ci aveva dimesticato con la nozione di chunking, l'acquisizione di quell'unità discreta d'informazione (chunk, appunto, cioè una "quantità", un "blocco", un "tot") che ci è divenuta tanto familiare da poter entrare quasi senza sforzo nella nostra memoria a breve o a lungo termine come, per esempio, il fischiettare il tormentone musicale dell'estate (a breve termine) o la capacità di guidare una bicicletta (a lungo termine).
Se n'era occupato niente di meno che William James nel 1890 teorizzando i due tipi di memoria, ma è stato solo negli anni Cinquanta che George Miller è riuscito a misurare la quantità d'informazione che la memoria a breve è in grado di ritenere.
Più tardi il concetto di chunk si è ampliato a significare, più genericamente, un «insieme strutturato di informazioni immagazzinate nel momento in cui la conoscenza viene acquisita» (Clayton Lewis, 1978) intendendo spiegare il meccanismo con il quale, appreso il chunk relativo a un comportamento, ogni risposta a sollecitazioni analoghe accade in tempi sempre più brevi. Con il procedere dell'acquisizione di conoscenza, i chunk si fanno via via più complessi, passando da conoscenze solo dichiarative («so che si fa così») a conoscenze procedurali («so farlo»).
Ora, è proprio il chunking a essere alla base della mappatura dell'informazione, cioè di quell'attività che consiste nello sminuzzare ed etichettare l'informazione per facilitarne la comprensione, l'uso e il richiamo.
Il metodo, messo a punto alla fine degli anni Ottanta da Robert E. Horn, docente di Scienze politiche e creatore di Information Mapping Inc. e che ha identificato più di duecento chunk, dai quali derivano diversi tipi di information mapping (come Procedure, Process, Principle, Concept, Fact, e Structure), è ormai quasi universalmente impiegata nella strutturazione di testi (structured writing) destinati alla comunicazione tecnica: esattamente il mestiere del "documentalista" nell'accezione americana, che s'ingegna nello sfruttare un singolo documento come fonte per una molteplicità di esiti più complessi, come manuali d'uso o help in linea.
Perché riscrivere il medesimo testo per destinazioni e formati differenti o, altrimenti detto: come riusare l'informazione disponibile? Cioè: come trasformare un'informazione lineare in una modulare in modo che possa essere assemblata e ri-assemblata? E, soprattutto, lo si può fare in automatico? (Da tempo ci si provano desktop publisher come Adobe FrameMaker o Apache Forrest o Altova StyleVision).
Ma il mestiere di questo tipo di documentalista è applicabile ad altre attività, come quelle che vedono il moderno webmaster impegnato a definire la granularità dell'unità minima d'informazione necessaria in un àmbito determinato, come un singolo testo (ma anche una registrazione audio-visiva) che veicola una singola idea (fino, al limite, a una sola idea per ogni pagina web) da distribuire entro l'architettura più efficace di un sito. Oppure, tutto ciò che abbiamo detto alla voce Catene cognitive nel precedente numero del «Bibliotecario».
La cosa va anche oltre il webmastering e può toccare la progettazione e l'ottimizzazione dei flussi documentali a fini di knowledge management. Per esempio, era applicazione di single sourcing in un contesto non usuale l'abbandonato progetto "Chiaro!" del dipartimento della Funzione Pubblica per la semplificazione del linguaggio amministrativo: moduli composti in anti-burocratese da poter assemblare per le più diverse necessità procedimentali.
- Kurt Ament, Single sourcing: building modular documentation. Norwich: William Andrew & Noyes Publications, 2002. ISBN: 0815514913. [L'opera è leggibile online con Google Libri].
- Mindy McAdams, Tips for writing for the Web.